Io cosa faccio qui?

Arrivare a Daddy’s Home il giorno in cui il cuore di Carol ha deciso di non battere più ha fatto sì che tutto sia entrato in una dimensione di dolore, prima di ogni cosa, di attesa e di posticipazione.

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Del dolore è inutile che parli, Carol si è spenta dopo lunghissimi mesi di sofferenza e non averla più qui è davvero lacerante.

Dell’attesa invece parlo perché in India si attende sempre. Non ci sono mai risposte precise e definitive. Quindi, quando in questi giorni chiedevo come si sarebbero svolti i funerali di Carol, le risposte erano vaghe. Sapevamo che ci sarebbe stata una veglia funebre ma non sapevamo quanto sarebbe durata. Sapevamo che ci sarebbe stata una cerimonia il lunedì, invece poi si è tenuta il martedì. Sapevamo che Carol sarebbe stata cremata ma non sapevamo se subito dopo la cerimonia o dopo qualche giorno. Quando non sai devi aspettare che le cose inizino a prendere forma e ti ci devi adeguare cambiando ogni programma e virando verso la loro direzione. Per una come me che ha bisogno di avere tutto pianificato la vita in India è impegnativa. Anche in una circostanza come quella di adesso.

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La posticipazione è un’altra caratteristica a cui prima o poi mi abituerò, se voglio continuare a venire in India. Ogni programma salta da un momento all’altro e viene ripianificato. Ti prepari, ti organizzi, sei quasi pronta e zack! Non si inizia più e non si parte più. Persino gli aerei all’ultimo momento non partono e ti lasciano a terra. D’altronde la rotta Hyderabad Vijayawada è talmente poco utilizzata che se l’aereo è vuoto tu ti devi fare dalle 6 alle 8 ore di macchina per raggiungere Daddy’s Home.

Ecco, in questi giorni le cose vanno proprio così. Mi sento un po’ zombie e vago per il campus chiedendomi se c’è bisogno che io venga in questo orfanatrofio. Purtroppo questo è il tipico senso di frustrazione che può colpire a tradimento un certo tipo di volontario. Non parlo di tutti i volontari, parlo di quelli della mia natura. Parlo del volontario che se ha qualche ora libera viene preso dal rimorso. Parlo del volontario che più lavora e si ammazza di fatica più sente di aver fatto quello per cui è partito. Insomma parlo del volontario così come sono io. Mannaggia! Fossi un po’ diversa potrei anche sentirmi meno inutile in questi giorni di attesa e di posticipazione.

Così dopo la cerimonia che accompagna definitivamente Carol a ricongiungersi con gli elementi naturali di questo nostro mondo, entro alla Babies Home e mi butto anima e corpo nella dimensione della cura dei neonati.

I babies sono : A. 4 mesi, A. 3 mesi, A. 3 mesi, K. 3 mesi, e poi su con i mesi per R., R., Y.. Nell’altra cameretta ce ne sono altri 5 o 6 e poi si passa al piano di sotto con altri più grandini che in parte ho conosciuto un anno fa o addirittura prima, quando da piccini stavano al piano di sopra.

Ricordo K., appena arrivata piccolissima, credo fosse Natale del 2011, con la sindrome delle bande amniotiche. All’interno del sacco amniotico ci sono dei cordoni di tessuto connettivo che nel caso di K. si sono attorcigliati attorno ai suoi arti quando era nella pancia della mamma, impedendone lo sviluppo e una crescita regolare. Il risultato è stato che su una neonata, femmina e molto scura di carnagione, in una famiglia povera, la natura si è scatenata con tutta la sua crudeltà facendola nascere con i piedi e le gambe deformi e portandole via qualche dito delle mani. In più, per non farsi mancare proprio nulla, K. è nata con un serio problema al cuore che le impedisce di sopportare qualsiasi intervento chirurgico che potrebbe porre un po’ di rimedio alla deformazione.

Il setto che divide le cavità cardiache è difettoso e ciò le provoca un rimescolamento continuo di sangue arterioso e di sangue venoso, portandola a soffrire di deficit di ossigenazione periferica che in caso di infezioni può rivelarsi molto grave, al punto da essere mortale. Insomma detta in parole spicce K. oltre ad avere una malformazione agli arti ha anche il cuore che non funziona e la sua esistenza è praticamente legata ad un filo. Comunque è bella e sveglia e se non fosse per delle scarpine ortopediche inquietanti, cammina, corre e salta come una cavalletta.

P. è senza un occhio. E’ arrivata con una boccia che usciva dall’occhio sinistro. Chiaramente femmina, scura e disgraziata in una famiglia povera, come poteva andare la sua vita dopo la nascita? Abbandonata e subito miracolata nell’essere accolta da Care & Share che si è sobbarcata tutte le spese per l’operazione. Avrebbe anche la possibilità di avere un occhio finto, povera piccola, ma non riesce a portarlo e fino a quando non si renderà conto dello scempio che il destino le ha fatto esteticamente, rimarrà una bellissima bambina che salta e gioca, con un occhio solo.

J. è una femminuccia con gli occhi che si incrociano al centro. Ogni tanto ti guarda con gli occhi giusti, poi di colpo uno le parte verso l’interno e la fa strabica. Quando guardi le foto con lei in primo piano non puoi non farti delle sonore e innocenti risate. Possiamo riderci su tranquillamente perché a breve Care & Share pagherà l’intervento per dare a J. uno sguardo normale.

Tra i più grandicelli c’è L. Lo guardi e lui frigna. Sta sempre seduto a terra per un trauma alla colonna vertebrale probabilmente causato durante il parto. L. ha un ritardo anche nello sviluppo mentale e si isola facilmente. E’un caso impegnativo, difficilmente si lascia prendere in braccio, a volte però si addolcisce e ti manda i baci con le mani. Ho visto Valeria sciogliersi come una candela accesa per un bacetto al volo di L.

J. è arrivata poco prima che arrivassi l’anno scorso in questo periodo.

Non era tra le più belle delle babies, anzi era abbastanza bruttina. Molto chiara di pelle, ma senza quelle caratteristiche che rendono un neonato più bello di un altro. Ora però è splendida e vederla correre e salutare con le manine sollevate mi fa sperare che la adotteranno prima o poi.

Anche N. è stata adottata.

Ma è anche stata restituita! Funziona così: soddisfatto o rimborsato. Se li vengono a scegliere, tornano più e più volte. Decidono questa piuttosto di quello. Le femmine molto scure non vanno via tanto facilmente. Poi una volta a casa si accorgono che il pacchetto non contiene ciò che si immaginavano per cui fanno la restituzione al mittente. N. è stata rifiutata per il mal di pancia e perché non mangiava. Troppo impegnativa. Come ha detto A., la responsabile di Babies Home, meglio che ce l’abbiano data indietro, qui almeno starà bene. A Natale N. era qui da una settimana, dopo il reso intendo, ed era scatenata. Impossibile da governare. Ora, a distanza di due mesi N. si è tranquillizzata pur rimanendo, per fortuna, una piccola bimba vivace e sorridente.

Lentamente la luce cambia e si alzano dal campus le grida dei ragazzini che giocano a calcio. Li sto a guardare dalla grata della Babies Home, la grande finestra che domani se avviene un miracolo avrà anche la zanzariera che ho portato dall’Italia, e ho in braccio K. e K.. D’altronde le diciotto ernie che mi porto appresso in qualche modo devo essermele procurate. Un bimbo alla volta non mi basta.

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Carol è letteralmente volata in cielo e un po’ di lei è stato riposto vicino alla casa delle ragazze grandi, la Angel Home. La giornata calda e afosa di oggi si sta facendo più dolce e una leggera aria mi rinfresca. E’ quasi tornata la serenità che in questi giorni era rimasta incastrata in mezzo a tanta gente giunta a rendere omaggio alla salma di Carol. Respiro di nuovo l’atmosfera di Daddy’s Home. Sono finalmente stanca sfinita ma non mollo e porto i quattro seggiolini nuovi di fronte alla grande finestra perché voglio che anche i più piccolini si godano il campus, vivo e ricco dell’allegria tipica di un giardino pieno di piccoli uomini che giocano.

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Piano piano arriva il buio e i bambini dopo aver mangiato cominciano ad avere sonno. E’ ora che vadano nelle loro culle, a pancino in giù e culetto in su.

Valeria è con me. Sarà la giornata un po’ così, sarà per la tensione che finalmente va scemando, ci facciamo una bella chiacchierata che vale come una seduta dall’analista mentre i nostri due piccoli si addormentano sulla nostra spalla.

E’ a quest’ora che fai il resoconto della giornata, almeno a me succede quando sto lasciando la Babies Home e mi incammino verso Padova Home. Attraverso il campus nel buio, generalmente scortata dai miei due guardiani, Ugo ed Erminio, che di ritorno dall’ambulatorio medico mi prelevano. A seconda del livello di stanchezza sento se ho dato a sufficienza. Sarà mica normale avere una simile mentalità? Non mi fa mica stare bene questo atteggiamento. Rischio di demotivarmi se alla prossima risonanza magnetica non mi diagnosticano la diciannovesima ernia!

Valeria comunque, forse non rendendosene nemmeno conto, mi inietta una bella dose di autostima per cui da domani al diavolo la frustrazione e avanti con il mio piccolo impegno in questo strano immenso mondo dove quello che fai sembra non contare nulla.

Ugo ha già raggiunto Morfeo, meglio se spengo la luce e provo a chiudere gli occhi anch’io.

2 pensieri su “Io cosa faccio qui?

  1. Carla

    Solo una parola ….. Grandissima e credo Unica! Per fortuna dirai tu 😉 ops ….ancora una cosa GRAZIE di Essere proprio così!

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