Essere buoni senza aureola

La domanda che molto spesso mi sento rivolgere dalle persone che hanno il coraggio di pormela, forse perché mi frequentano più assiduamente di altre, è: “perché lo fai?”. Tranquilli, me lo chiedo anch’io a volte. Non perché il mio impegno mi pesi a tal punto da cercare nel mio  cervello la valvolina inceppata che mi spinge a massacrarmi, ma perché trovo sia importante essere sinceri nella vita, almeno con sè stessi.

Sono una persona normale, aggiungerei anche estremamente normale. Lavoro e se potessi farei a meno, ho una famiglia che mi riserva gioie e dolori, vado a letto presto e mi alzo presto ma andrei a letto tardi e mi alzerei tardi, cerco di mangiare sano e amo bere del buon vino ma mi devo trattenere sennò ingrasso. Lotto infatti contro la bilancia che conosce solo la direzione di avanzamento, ho segni verticali ed orizzontali sulla fronte e sul viso che non si arrestano, ho il colore dei capelli tipico di chi lotta per camuffare il grigio, la forza di gravità con il mio lato B non si smentisce (nemmeno con l’A)), ho giornate in cui mi sento un leone e altre in cui nemmeno un bruco vorrebbe assomigliarmi.leone Amo le persone che non mi fanno del male, con loro so essere generosa e disponibile ma detesto chiunque tenda a trasmettermi negatività e cattiveria, fino a ruggire e sbranare come un leone quando non riesco a girare la testa dall’altra parte.

Concludendo: mi sento proprio come tutti e se sembra che stia offrendo la famosa altra guancia  in realtà è  perché sono allocca, non santa.

Di questa mia normalità sono alquanto soddisfatta, ora che ho superato quella soglia di età in cui per consolarsi una donna dice di avere il diritto di dire e di fare cose che fino a qualche anno prima sarebbero state sconvenienti. Insomma, ho superato i 50! Fino ad almeno 10 anni fa mica mi piaceva essere così scontata e noiosa. E mica avrei scritto un blog!

Si dice che certe sensazioni di appagamento, forse anche un po’ di rassegnazione, giungano con la maturità.gallina marta

Ecco posso dirmi ormai matura e stagionata.

cornicetta-marronee1

Con questa lunga premessa mi appresto a parlare dell’attività di volontariato che svolgo anche in Italia non solo in india. Dell’India ci sono gli articoli di questo blog che dimostrano quanto il mio cuore e la mia testa si immergano periodicamente in questo mondo, lasciando ogni volta segni profondi. Il blog, infatti è nato proprio alla vigilia della mia ultima partenza per Daddy’s Home, per darmi  modo di metabolizzare le emozioni prima, durante e dopo la permanenza in orfanatrofio.

Del lavoro che faccio in Italia in veste di volontaria AVO (Associazione Volontari Ospedalieri)avo

ne ho accennato appena nell’articolo “Erminio” https://pattindia.com/2016/03/13/erminio/. Ne parlo ora per spiegare come sia semplice e possibile impegnarsi a favore di altri essendo normali come me. Spero di dare la spinta definitiva a chi ci sta pensando e non si decide, spero di dare pace a chi non si spieghi come una “normale” come me passi senza secondi fini, qualche ora alla settimana in ospedale accanto a sconosciuti,  spero infine di far capire come si possa fare del bene senza per forza avere un’aureola luminosa sopra la testa. aureola

Esatto: non è necessario essere dei santi per fare compagnia a degli ammalati in ospedale e tantomeno per salire in aereo a proprie spese e recarsi in mezzo a dei bambini sfortunati per giocarci assieme, pulirli e amarli. Basta avere la voglia di farlo e i soldi per pagarsi il biglietto aereo.

Ma voglio rimanere in Italia visto che in India ci vado negli altri articoli.

Quando frequenti l’ospedale per assistere qualcuno ricoverato, non necessariamente per patologie gravi, capisci molte cose. La prima è che il tempo si arresta, si allunga e si dilata. Le ore non passano e l’orologio non gira.

Se invece l’ospedale lo frequenti perché il paziente sei tu, ciò che tocchi con mano è la solitudine. Non è la solitudine di quando ti manca la compagnia di qualcuno. Non è la solitudine per l’assenza di un essere animato. E’ la solitudine in cui il dolore fisico ti fa sprofondare assieme alla paura che non debba passare mai e che anzi possa aumentare fino a farti desiderare di morire.

Quando ci sei dentro, da spettatore o da attore, una parola che ti distragga, un gesto che ti consoli possono bastare per interrompere il crollo delle sicurezze che fino a poco prima facevano di te una persona come altre.

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Attraverso queste esperienze mi sono avvicinata senza saperlo al desiderio di fare qualcosa per chi viveva nelle condizioni in cui io stessa mi sono ritrovata e dalle quali in un modo o nell’altro ne sono uscita.

Ho dovuto assistere persone a me vicine bloccate a letto con dolore fisico e spossatezza emotiva, con impazienza sia di guarire che di morire. Mi sono ritrovata ad implorare il medico affinché accelerasse un percorso già scritto e definitivo, lento e crudele, irrispettoso del dolore  fino a farmi odiare tutto ciò che rappresentava un prolungamento della vita: l’ossigeno erogato attraverso la mascherina, l’ago della flebo infilato in vena per somministrare lo stiracchiamento delle ore, l’apparecchio pieno di numeri e linee colorate con suoni neanche tanto regolari.

Purtroppo ho provato a stare immobile in un letto con il dolore fisico e il terrore di non tornare più normale, assalita dalla solitudine e dalla paura che la vita sarebbe continuata da inferma o comunque da invalida. Ossia da SOLA!

cornicetta-marronee1

L’ospedale è un luogo che incute timore e spesso soggezione. Il personale medico e infermieristico si muove con disinvoltura e io che non sono né infermiera né medico lo temo. Quando entro in corsia nelle vesti di volontaria ho sempre un certo senso di inadeguatezza e ho paura della sensazione di rifiuto che a volte mi capita di percepire.

Il disagio iniziale va via via scemando man mano che i sorrisi dei pazienti e dei famigliari mi accolgono fino a farmi sentire una benvenuta. Se invece capisco che non è il momento giusto per fare due parole mi aggrappo al ricordo di quando io stessa ho pregato la volontaria di dedicarsi alla camera successiva alla mia. Succede, non c’è nulla di male, il dolore dà a chiunque la libertà di scegliere come gestirlo.

Mi sento appagata quando una semplice azione scatena reazioni positive, credo stia qui il senso. Allungo il bicchiere d’acqua e due semplici gocce che bagnano la lingua arsa sono sufficienti perché due occhi pieni di riconoscenza e gratitudine incrocino miei. Basta che stringa la mano asciutta e nodosa appoggiata sul lenzuolo perché una lacrima scivoli sulla guancia fino a toccare il cuscino. Certo, potrebbe essere una lacrima triste, ma è pur sempre una reazione. E una simile reazione non può che essere seguita da una carezza sulla guancia rigata con la scusa di asciugarla. Sono gesti semplici che hanno bisogno di silenzio e di parole sussurrate.

mano vecchia

Non è richiesta nessuna specializzazione medica per fare quello un giorno alla settimana per due o tre ore faccio in corsia. Non è certo frutto di improvvisazione, anzi, c’è un corso frequentato per alcuni pomeriggi del sabato, un colloquio e soprattutto un bel periodo di tirocinio affiancata da una tutor . Anche queste fasi richiedono impegno e dedizione, direi quasi che sono i passaggi in cui devi stringere maggiormente i denti, ripromettendoti di arrivare fino in fondo. Dopo le prime settimane di uscite in accompagnamento, inizia la fase critica, quella in cui ti chiedi se sei all’altezza o se ce la farai e quasi senza accorgerti ti ritrovi ad avere bisogno di quelle due o tre ore.

cornicetta-marronee1

All’inizio di questo articolo scrivo che anch’io mi chiedo il perché di questo mio impegno che mi sottrae tempo ed energia e parlo di sincerità innanzitutto verso sè stessi. Perché ammettere di fare del bene più per necessità personale che per generosità verso il prossimo equivale a togliermi l’aureola che la gente sincera tende a mettermi sulla testa. Parlo della gente sincera non di quella che non avendo dentro di sè la spinta giusta intravvede secondi scopi nel mio impegno. Come ho scritto nel mio primo articolo “About me” https://wordpress.com/post/pattindia.com/2213 : Fare il volontario non dev’essere motivo di vanto così come non fare il volontario non dev’essere motivo di invidia verso chi lo fa.

pedro emma e coco

6 pensieri su “Essere buoni senza aureola

  1. Ciao Patrizia!! mi sono imbattuta sul tuo blog cercando informazioni e curiosità su Vijayawada. e per sbaglio ho cliccato qui 🙂 bellissimo blog, si sente da come scrivi che il volontariato che fai alla Daddy’s home lo fai con il cuore. Non vedo l’ora anche io di partire per vijayawada quest’estate per fare volontariato. Questo blog mi è stato molto d’aiuto 🙂

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  2. Anastasia Manni

    Molto volentieri se ne ho la possibilità. Io partirò con i missionari Saveriani e tra qualche giorno mi incontrerò con la suora indiana missionaria che ho come riferimento. Ne parlerò con lei e se sarà possibile verrei volentieri al Daddy’s home. Ci andrai anche quest’anno a Vijayawada?

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  3. http://www.careshare.org/it/htm/menu.asp?id=3&id_modello=Daddy%27s%20Home
    “Daddy’s Home è il nostro villaggio per bambini di strada. Si estende su un terreno di 15 acri (6 ettari) vicino al villaggio di Buddavaram a circa 27 km da Vijayawada.Il progetto, avviato nel gennaio del 1999, è il tentativo di dare una casa a bambini che abbiamo raccolto dalle strade per tentare di farli crescere con una dignità umana. Cerchiamo di prenderci cura di loro dando loro le attenzioni di cui hanno bisogno.”
    Ciao Anastasia se clicchi sull’indirizzo sopra vai direttamente nel sito dove si parla di Daddy’s Home.
    Ciao, grazie e a presto

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