Vorrei poter dire

Sono tornata a Daddy’s Home a febbraio, quasi senza preavviso, presa da un bisogno impellente di volare lì per vedere, guardare, per sentire ed ascoltare.

Non entro nel dettaglio perché non saprei da dove iniziare e non so dove andrei a finire. Non parlo delle vicende che hanno seguito la morte di Carol perché non è ancora arrivato il momento di farlo.

Non so nemmeno io cosa potrei raccontare sapendo che tra le persone che leggono ci possono essere coloro che hanno scelto di abbracciare una versione ed altri che hanno deciso di mantenere lo sguardo rivolto avanti oltrepassando gli ostacoli buttati lì, in mezzo ad un percorso che dovrebbe andare verso un’unica direzione: la salvaguardia dei bambini.

Chi entra in una struttura di quelle fondate da Carol e Noel non può non essere travolto da un’emozione incredibile. Dopo sei anni posso dire che molte cose sono “migliorate” in quella parte di India che sta ricevendo le ultime gocce di una pioggia di sviluppo economico travolgente. Le strade sono a più corsie e sono percorse da lunghissime aiuole di buganvillee irrigate costantemente e curate da molte persone che ogni giorno riescono a guadagnarsi qualche rupia, strappando erbacce e muovendo la terra. Il traffico è sempre molto sostenuto e caotico, i clacson vengono sempre utilizzati con generosità e i pedoni continuano a non avere nessuna importanza. Eppure, malgrado il pericolo di vita che ogni essere umano non dotato di quattro ruote viva lungo le strade indiane, queste pullulano di biciclette, moto con quattro passeggeri più animali e magari qualche pacco, e umani a piedi. Lungo il ciglio, anzi, sulla strada in mezzo alla corsia, a gruppetti intenti a chiacchierare oppure stesi a terra a schiacciare un pisolino o a smaltire la sbronza ci sono uomini, donne e purtroppo bambini che rischiano di essere travolti.

Eppure dopo sei anni vedo auto di lusso che sfrecciano a tutta velocità, con i vetri grigi e la carrozzeria splendente. I soldi stanno arrivando anche qui dove la gente ancora vive nelle capanne senza elettricità, senza acqua e senza fognature. Ecco perché quando si oltrepassa il cancello di Daddy’s Home sembra di entrare in un’oasi. L’emozione che ti travolge è un misto tra la gioia di essere sopravvissuti al traffico e scappati dalle stradine devastate dalle buche e la sorpresa nel trovarsi in un campus pulito e ordinato.

Carol e Noel hanno voluto questo: un ambiente migliore dove far crescere bambini senza famiglia, senza affetti, senza prospettive e senza certezze. Insegnare loro cosa sia l’ordine e la pulizia significa creare in loro, giorno per giorno, l’esigenza di ricrearsi ambienti ordinati  e puliti in cui continuare a vivere una volta usciti dall’ orfanotrofio.

Io non voglio nemmeno pensare che qualcuno desideri interrompere questo sogno. C’è posto per tutti e c’è lavoro per tutti. Continuiamo a mantenere vivo e concreto un sogno e lasciamo che il passato resti alle spalle, non per dimenticare ma per non ripetere gli stessi errori.

Ci sono i bambini che ci guardano.

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