Sembra una storia di quelle che leggi tutte d’un fiato, sperando, pagina dopo pagina, che la fine sia lieta e che dopo tanto travaglio, la situazione prenda la svolta giusta per la soluzione.
Parlo di te Carol e di quello che è iniziato da quando te ne sei andata… diciamo da quando hai annunciato che te ne saresti andata, dando loro il modo di progettare quel bel pasticcio che si è creato e dal quale non siamo più capaci di uscire.
Parto da oggi a raccontare perché oggi si è celebrato il primo anniversario e oggi come un anno fa ero qui, stordita e imbarazzata come solo a Daddy’s Home riesco ad essere. Stordita dalla mattina alla sera, al punto da desiderare che la giornata finisca per potermi sdraiare a letto e buttarmi sulla tastiera di qualsiasi dispositivo, a scrivere per svuotare la testa e riprendere il comando del mio cervello. Stordita tanto da sentirmi stupida e inopportuna quando penso alle possibile soluzioni ai mille problemi quotidiani che affronto vivendo qui. Dai più semplici ai più complicati cerco delle possibili scappatoie e mi ritrovo a fare e a pensare quello che già un sacco di altre persone hanno fatto e pensato prima di me. Eppure tutto continua, tutto procede e sembra quasi uno scherzo quando, per un attimo di lucidità riconquistata, ti stacchi dalla realtà e la guardi da fuori e ti accorgi che comunque, qualsiasi cosa tu faccia, qui la vita va avanti lo stesso.
Stordita e imbarazzata. Imbarazzata perché il mio inglese il più delle volte fa schifo e quando sono stanca mi si ingarbuglia la lingua; imbarazzata perché mi confronto con persone che qui vivono tutto l’anno a contatto con questo grande oceano di problemi e difficoltà e io, per due settimane o due giorni che trascorro qui penso di portare le soluzioni; imbarazzata perché mi si chiede di agire come se fossi a casa mia, ma questa non lo è e io sono a casa tua, Carol, tua e di Noel e non mi va di invadere gli spazi che non mi appartengono.
C’è stato un bel programma al termine della funzione religiosa, che ha occupato per giorni e giorni molte persone nei preparativi e nell’organizzazione. Come sempre i tuoi ragazzi hanno dimostrato di aver imparato moltissimo in questi anni e si sono esibiti nei balli e nei canti che tu hai amato moltissimo.
Mi si sono riempiti gli occhi di lacrime che ho lasciato sgorgare liberamente senza nessun tentativo per reprimerle. Ero convinta di poter piangere senza essere vista perché non mi sono seduta con le autorità, ma con i miei piccolini della Babies Home. Non sono riuscita a bloccare il fiume di lacrime che ha riempito all’improvviso i miei occhi, quando Kishore e i suoi ragazzi hanno iniziato a ballare sulle note di Michael Jackson e la sua “ Man in the mirror”. Chi è stato in passato a Daddy’s Home può capire di cosa stia parlando. Kishore ha alle spalle una storia personale tristissima, come tante qui a Daddy’s Home, ma non per questo normale. Lui avrebbe potuto finire per strada, diventare un delinquente, finire a mendicare o vendersi per qualche rupia di sopravvivenza se non avesse incontrato te e Noel. La sua storia l’ho sentita raccontare un mese fa da lui personalmente, seduti a fare colazione nel ristorante a cinque stelle di Hyderabad, fra un caffè e una brioche, con il sorriso sulle labbra. Perché Kishore sorride sempre quando non lo scopro avvolto nei suoi pensieri, dai quali si allontana subito appena si accorge che lo sto osservando.
Sono stata ad osservare lui sul palco stasera a ballare perfettamente, con disinvoltura e sicurezza, lo stesso pezzo che sette anni fa gli vidi ballare goffamente, la prima volta che sono arrivata. Sette anni fa era un bambino che cercava di scimmiottare il suo idolo americano. Oggi Kishore è un uomo che è tornato a casa da Hyderabad dove studia, per salire sul palco ed esibirsi benissimo di fronte a tanti altri piccoli uomini che come lui sono stati salvati da Carol e Noel. Ecco perché non ho trattenuto le lacrime, che stanno scendendo anche ora mentre scrivo. Perché stasera su quel palco Kishore e gli altri ragazzi ballerini luccicanti e perfetti ti hanno riportata in vita Carol, orgogliosa e soddisfatta di come li hai salvati e di come li hai cresciuti.
Pensavo di non essere vista invece le mie lacrime hanno fatto il giro del campus. Loro mica capiscono perché Michael Jackson mi abbia fatta piangere, mica sanno che ti ho cercata ogni giorno da quando sono arrivata il 27 febbraio dell’anno scorso, e poi ancora a settembre, a gennaio e ieri appena scesa dall’aereo. Ti ho trovata nelle note di questo pezzo che tu amavi tanto e nelle giravolte di Kishore e dei suoi ragazzi, ti ho ritrovata nel velo svolazzante di Vittoria, prima che partisse a saltare con il resto delle ragazze in un ballo fantastico. Sono loro i tuoi miracoli, di cui ci stiamo dimenticando cercando il male, le accuse, le offese in nome di chissà quale giustizia.
Io vi prego e vi scongiuro fermatevi!
Questi bambini, queste piccole donne e questi piccoli uomini stanno crescendo in una famiglia piena di fratelli, sorelle, zie, mamme (mummy! Mummy! Mummy!) e papà (daddy! daddy!daddy!).
Per chi ha avuto modo di passare anche solo un giorno a Daddy’s Home questa dovrebbe essere una musica: mummy! mummy! daddy! daddy!
Siamo tutti il loro daddy e la loro mummy e non possiamo dimenticare che la loro vita, per qualche strano gioco del destino, è stata affidata a questa struttura, fondata e cresciuta da Mummy Carol e Daddy Noel.
Questa sera si è raccontata la storia di Carol Linda Faison perché è da un anno che ha chiuso gli occhi ma ogni giorno nel campus di Butterfly Hill, in quello di Daddy’s Home, nella meravigliosa Lake Home e nella piccola Sweet Home, nei vari slums della città, in molte strutture umanitarie, in giro per questo angolo di India in cui il turismo non ha motivo di esistere, ogni giorno Carol e Noel mostrano la loro forza e la loro esistenza soccorrendo migliaia di bambini.
Io non posso e non voglio credere che questo possa finire perché non si può far morire una persona due volte. Lei se n’è già andata una volta, lasciamola tornare a casa nella sua grande famiglia dove l’uomo che ha amato fino all’ultimo respiro combatte ogni giorno per i suoi bambini.
E’ una vera guerra dove mai nessuno potrà vincere e gli unici a perdere sono proprio i bambini.