La mia India: una terra verde smeraldo baciata dal sole e incorniciata da splendidi sorrisi

Non c’è nessuno che possa stabilire quando sia il momento giusto per partire ed intraprendere il viaggio verso quella Terra lontana da cui siamo 

C’è chi ci mette degli anni e chi invece non ne vuole assolutamente sapere per un rifiuto tale da voler cancellare quasi completamente la propria origine.

Io ho deciso di avventurarmi in questo viaggio nell’estate del 2010 assieme ai miei genitori adottivi e a Paolo, al tempo mio ragazzo e ora mio marito.

Ero titubante forse per la paura di scoprire una realtà diversa da quella che la mia fantasia aveva creato, temevo di trovare un paese più drastico e drammatico rispetto a quello fiabesco e surreale che mi ero costruita e che mi ha fatto sognare.

Invece ho scoperto l’umiltà e la semplicità della gente, della “piccola” gente, di quella che l’uomo occidentale definirebbe “povera e primitiva”, ma che ai miei occhi risulta essere estremamente ricca. Gente che nonostante tutto sa donare senza pretendere nulla in cambio.

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Ho Assaporato il cibo indiano speziato e dai sapori decisi: pollo al curry, naan (pane indiano) normale o farcito, riso basmati a volontà e il tipico tali. Questo nome deriva dal piatto rotondo in cui vengono servite e raggruppate insieme diverse pietanze, tutte nello stesso istante: carne, verdure asciutte, verdure in salsa e farinacei, mentre al centro è posto un mucchietto di riso.

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Adoro questo connubio tra le spezie e le materie prime, lo speziato e il piccante, il tutto risolto con una tazza bollente di masala chai (the speziato) o un lassi allo yogurt.

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Se non è estremamente piccante allora non è autentico cibo indiano!!!

L’India e’ anche questo: sapori percepibili con il palato e con gli occhi perché il cibo è ricordo e ci dà la possibilità di riportarci a sensazioni ed emozioni del passato.

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Ho fotografato con il cuore quegli interminabili ed incondizionati sorrisi e gli innumerevoli colori brillanti e scintillanti dei sari delle donne indiane come delle dee senza tempo portatrici di un fascino e di un’eleganza inestimabile.

Solo dopo le varie esperienze culinarie e non, sono riuscita a comprendere come l’India si possa amare od odiare.

Io me ne sono innamorata di questa terra dalle innumerevoli sfaccettature e dalle mille contraddizioni, dove vige ancora il sistema delle caste sociali e dei matrimoni combinati, che è però all’apice della tecnologia e delle novità informatiche.

Ritorno alle origini

Il mio viaggio però è andato oltre alla semplice visita da turista che viaggia per il piacere di vivere esperienze nuove ed osservare nuovi mondi.

Ero consapevole di essere alla ricerca di qualcosa di più profondo, di nascosto e misterioso; avevo bisogno di risposte, di tutte le risposte alle innumerevoli domande che per anni mi sono posta e che sono rimaste in sospeso.

Così sentivo che era giunto il momento di partire ed intraprendere quella lunga e tortuosa strada per ritrovare qualcosa di me, della mia storia, del mio essere donna italiana ma a tutti gli effetti di origine indiana.

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Nell’estate del 2010 sono partita in compagnia dei miei genitori adottivi e di Paolo. Destinazione Kochin: città della regione del Kerala a sud dell’India.

Dopo una giornata di volo tra uno scalo e lunghe attese sono arrivata in India, nella mia India, che così tanto avevo immaginato e sognato con la mia mente.

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Appena scesa dall’aereo mi sono imbattuta nell’ umidità soffocante e a dir poco fastidiosa, mi sembrava di essere in un’immensa sauna naturale. In quell’ umidità, a farci compagnia, c’erano milioni di persone che attendevano i loro cari o aspettavano il momento di partire e gli infiniti odori e le puzze mischiati tra loro mi avvolgevano dalla testa ai piedi.

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Ricordo però anche con piacere la folata profumata di olio di cocco che mi ha invaso le narici e proveniente dalla chioma corvina e lucente di una donna indiana, raccolta in una interminabile treccia da cui spuntavano piccoli boccioli di gelsomino, quasi a formare una ghirlanda. È stata una sensazione paradisiaca, quasi da farmi perdere i sensi; tutte quelle profumazioni mi avevano letteralmente fatta impazzire.

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E così ho iniziato a capire che pure io facevo parte di quel mondo così colorato e profumato e che c’era una plausibile spiegazione al fatto che da sempre avessi così tanto amato e ricercato qualsiasi cosa emanasse un profumo, un odore gradevole, possibilmente speziato.

Devo dire che la prima impressione dell’ India è stata decisamente positiva; se da un lato mi sentivo un po’ spaesata dall’altro mi sentivo a casa.

Il giorno seguente, dopo una bella dormita, ci siamo diretti al Mount Camrel Convent Orphanage, l’orfanotrofio dove esattamente venticinque anni prima i miei genitori adottivi erano venuti a prendermi per portarmi a casa, in Italia.

Inizialmente non ho avuto particolari scombussolamenti emotivi, anzi, non avendo alcun ricordo di quel posto, per me era qualcosa di completamente nuovo che vedevo per la prima volta.

Ad un certo punto però si sono fiondate verso di me due donne che hanno iniziato ad abbracciarmi e a baciarmi con una tale tenerezza e dolcezza che non avevo mai visto prima. Sono rimasta immobile, paralizzata, perché non capivo cosa stesse accadendo. Poi la nostra guida indiana ha saputo spiegarmi il perché di tale gesto e quando ho cominciato a capire e a razionalizzare il tutto, il cuore mi è partito a battere all’ impazzata senza più fermarsi: una delle due donne era stata la mia balia personale quando ero lì all’orfanotrofio e nonostante tutti quegli anni di assenza mi aveva riconosciuta!

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Per lei ero la piccola Laila di sempre mentre per me era una donna come tante anche se inconsciamente sapevo che non era così.

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Sono rimasta incantata da quell’immenso salone dell’orfanotrofio dalle pareti di color verde acceso dove, sparsi qua e là, c’erano dei grezzi lettini in legno che avrebbero accolto i bambini per il loro sacro pisolino.

In quell’istante non ho potuto fare a meno di immaginare me stessa dentro uno di quei lettini, in completa solitudine, alle prese con una ninna nanna fatta da un movimento ondulatorio e consolatorio, che ancora oggi mi porto dietro.

Ero comunque felice: ero tornata a casa e avevo incontrato persone che a modo loro mi avevano amata ed accudita come una figlia.

Questo è stato il mio primo viaggio alla ricerca delle mie origini ma non mi sono fermata qui. Ho intrapreso altri due viaggi nell’estate del 2014 e del 2015 solo in compagnia di mio marito Paolo e grazie alla sua determinazione e alla mia voglia di scoprire fin dove saremmo potuti arrivare ci siamo spinti oltre l’infinito verso traguardi che io probabilmente ritenevo impossibili.

Così ho dato risposte alle mie domande, ho avuto conferma dei mie dati anagrafici (ma questo in realtà nonera così essenziale)ma soprattutto ho trovato un NOME, un nome che non potrò mai dimenticare, che porterò sempre dentro di me, perché chi porta quel nome mi ha dato la vita, mi ha dato la possibilità di farmi una vita lontano dalla mia terra ma sicuramente migliore di quella che sarebbe stata.

La ringrazio ovunque LEI sia ma ringrazio anche i miei genitori adottivi che mi hanno amato e coccolato come una figlia biologica e che hanno saputo combattere contro ogni pregiudizio sociale rendendomi la donna che sono oggi.

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