Quando un bambino parte da Daddy’s Home alla volta di una nuova vita con una nuova famiglia mi si stringe lo stomaco per una forma di egoismo incontrollabile. In realtà sono i più piccoli ad avere maggiori possibilità di essere adottati, quelli che vengono seguiti in Babies Home fino ai tre, quattro anni, cioè fino a quando sono pronti per le case dei più grandicelli, la Galliano Home per i maschietti e la Lusiana Home per le femminucce. Le famiglie chiedono bambini piccoli perché portarsi a casa un ragazzino già grandicello è più impegnativo. Le femmine sono meno richieste dei maschi e comunque devono essere sani, belli e possibilmente non troppo scuri di carnagione.
Quando Jonathan è partito non ero in orfanatrofio. Avevo fatto in tempo a passarci insieme delle giornate intere sia ad agosto che a Natale conquistandomi con le sue guanciotte cicciotte e gli occhi birbi da simpatica canaglia. Era arrivato alla Babies Home di pochi giorni con il culetto tutto mangiato dalle formiche che lo avevano assalito nel cespuglio dove era stato gettato di fronte al cimitero della città. Era il preferito di tutte le inservienti e creava sempre scompiglio tra i compagni data la personalità proporzionata alla stazza. Non avrei mai immaginato di avere una simile reazione quando ho saputo via mail da Carol che lo avevano adottato.
La stessa reazione l’ho avuta anche quando Pedro se n’è andato.
Non ero in orfanatrofio ma ci ero stata da poco e avevo trascorso giornate intere con lui. L’avevo adottato a distanza appena giunto alla Babies Home quando Carol gli aveva dato lo stesso nome del mio cane. E’ diverso prendersi cura di persona del bambino che sostieni a distanza proprio perché, quando sei lì, la distanza non esiste più e tu lo puoi cullare, allattare e lavare proprio come faresti se fosse davvero tuo figlio. Quando mi hanno scritto che Pedro era partito con una nuova famiglia io ero nel mio ufficio e gli occhi mi si sono riempiti di lacrime. Così come era successo con Jonathan, allo stesso modo è successo con Pedro: perché proprio lui con tutti i bambini che vivono alla Babies Home? E’ una reazione di egoismo che svanisce solo impegnandomi a far prevalere il buon senso e la ragionevolezza, ma che la dice lunga sul livello di attaccamento che si sviluppa nei confronti di quei bambini dopo esserci stata a contatto per ore e ore.
Laila rappresenta la nuova vita data dalla nuova famiglia alla bambina di due anni vissuta in un istituto religioso dopo che la mamma biologica ha deciso di rinunciare a crescerla. Laila non è mai venuta a Daddy’s Home, il suo orfanatrofio sorge in una regione più ricca dell’Andhra Pradesh, perché le coltivazioni di the, l’agricoltura e il turismo fanno circolare più denaro in Kerala. Sono trascorsi ormai trent’anni da quando ha fatto il suo primo viaggio in aereo per giungere in Italia in compagnia di Giuliana e Mauro, i suoi genitori adottivi.
Ha la carnagione scura come i suoi occhi dolcissimi e i capelli che le cadono sulle spalle. Le dita delle mani sono magre ed affusolate, eleganti come le mani delle donne indiane.
Non le ferma mai, sono in continuo movimento e l’aiutano nella ricerca della parola giusta, contorcendole e schioccandole nel descrivermi i suoi viaggi in India. Cerca risposte Laila e me ne parla mentre una ciocca di capelli continua ad infastidirla scivolando da dietro l’orecchio. A volte mi distraggo osservandole il piercing sotto il labbro inferiore mentre mi racconta di un viaggio dietro l’altro, sorridendo e scusandosi quando la memoria le fa fare confusione con gli anni, le date e le mète. A quel punto cerca lo sguardo di Paolo, suo marito, che arriva in soccorso mettendo ordine nei ricordi.
Laila cerca sempre il suo aiuto girando la testa verso di lui per rallentare la valanga di emozioni quando le chiedo cosa ricordi del suo primo ritorno in India. Rivedere l’istituto dove per due anni è cresciuta, essere riabbracciata dalle balie che la accudivano ed entrare nello stanzone grande che le rimane impresso per il colore verde.
Me la immagino piccina sgambettare sul pavimento come vedo le mie piccole bambine in Babies Home venirmi incontro per saltarmi in braccio urlando mamy mamy mamy.
Laila vive in Italia da trent’anni e fino ai 25 anni non chiede di tornare in India. E’ cresciuta sapendo da sempre di essere indiana con due genitori che non le nascondono nessun dettaglio fino a lasciare che sia lei a decidere se e quando iniziare l’inevitabile ricerca. Non sa nemmeno lei cosa cercare in verità, l’amore ricevuto dai genitori colma abbondantemente ogni possibile vuoto. Eppure dal primo ritorno in India ne seguono altri di viaggi verso quel mondo così assordante e pieno di odori, colori e confusione.
Tra un viaggio e l’altro, travestita da turista e sempre accompagnata da Paolo, riesce a trovare le date che hanno segnato i suoi primi giorni di vita fino a risalire al nome della mamma biologica. In Babies Home molti bambini non riusciranno ad avere mai questa possibilità perché ci sono mamme che hanno deciso di abbandonare il proprio figlio scomparendo definitivamente. Essere affidati ad un istituto senza essere gettati in un cespuglio o a testa in giù nel gabinetto di un treno è già un privilegio. Non solo per la crudeltà del gesto ma per la possibilità di risalire un giorno ad un nome, ad una data e ad un luogo da dove partire con le domande e le risposte.
Laila sta continuando il suo viaggio, aprendo porte socchiuse, avanzando lentamente senza fretta. L’indole indiana le appartiene in tutto, per sua stessa ammissione, facendo di lei una donna cauta, paziente a volte indolente, senza però negarle una buona dose di cocciutaggine e determinazione. Mi fa tenerezza quando racconta di come le giungano le reazioni da parte delle persone che la incontrano. Sono sensazioni note fin da piccola, cresciuta in un paese in cui lo straniero non esisteva ed ora, che lo straniero esiste e spesso non è benvoluto, le reazioni lei le riconosce e se le sente addosso. Eppure non c’è risentimento nelle sue parole, c’è l’India anche in questo suo aspetto, con la rassegnazione celata da apparente disinteresse.
Io ricordo l’arrivo di Laila nel mio piccolo paese e ricordo ancora come la mia mente abbia elaborato i racconti della sua storia, scalfendo nella mia memoria le sensazioni che ho provato e le foto che mi sono fatta scorrere davanti agli occhi immaginandomi tutto. Ero una ragazzina con la fantasia di un’adolescente. Ho nella testa l’immagine di una bimba scura e sola in un paese lontanissimo che gioca seduta su una montagnola di sabbia con alle spalle una costruzione grigia e grandissima, piena di finestre con le grate in ferro, lamentandosi per il male alle orecchie. Ecco, anche ora che Laila si porta dietro l’orecchio quella ciocca di capelli nerissimi offrendole la possibilità di prendere tempo prima di ripartire con i racconti, la vedo seduta sopra una montagnola di sabbia. Il male alle orecchie se lo ricorda anche lei mentre della sabbia non c’è traccia nella sua memoria.
Sono felice Laila che ci siamo cercate perché parlare con te mi aiuta a reprimere ancora di più quella forma di egoismo che mi assale quando uno dei miei piccoli parte. Il prossimo potrebbe essere Rishi, l’ultimo neonato che le mie ragazze hanno voluto adottare dopo essere state a Natale.
Mi piacerebbe che tu un giorno con Paolo venissi a trovare l’immenso mondo racchiuso in Daddy’s Home in un piccolo villaggio dell’Andhra Pradesh. Non c’è miseria e non c’è tristezza perché è pieno di bambini che urlano e giocano tra loro.
Ti auguro di continuare ad amare entrambi i tuoi paesi con le loro contraddizioni e le loro infinite differenze, soprattutto ora che, con l’aiuto prezioso di Paolo, hai tutte le porte spalancate per andare e venire senza nemmeno fingerti turista.
Cara Laila il mucchietto di sabbia probabilmente rimarrà ancora nella mia memoria ma tu sarai per sempre l’immagine a cui ricorrerò tutte le volte che uno dei miei bimbi partirà.