Il volontario

La figura del volontario qui a Daddy’s Home merita davvero di essere analizzata e raccontata. Non voglio fare la classifica dei buoni e dei cattivi, ovviamente, non spetta a me e non sarebbe utile a nulla. Mi si conceda però di soffermarmi un attimo e raccontare alcuni aspetti che ritengo significativi, se non altro per tradurre in parole le sensazioni che mi hanno travolta la prima volta che sono arrivata. E’ o non è il mio blog? Quindi sciolgo le riserve e racconto anche questa parte della mia esperienza in India.

Come ho già raccontato nell’articolo “Il primo viaggio”, sono arrivata a Daddy’s Home grazie a Ugo mio marito che a sua volta ci è arrivato grazie ad un collega, Paolo. Ugo è medico io no. Ugo svolge una professione che in un orfanotrofio è importantissima, io no. Ugo credeva di sapere cosa sarebbe andato a fare, io no.

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Quando Paolo mi ha spiazzata dicendomi di andare a fare la mamma a tanti bambini ho deciso di dargli retta e di affrontare le cose senza aspettative. Mi sarei adattata giorno per giorno proponendomi per quella che sono. Sono sicuramente una grande e infaticabile lavoratrice, con spirito di adattamento e priva di paura di fare fatica. La fatica fisica, intendo, quella da lavori manuali che ti spezzano le unghie e ti fanno sudare. Non mi sarei certo aspettata di avere due figlie così simili a me. Una per un verso e l’altra per un altro verso mi hanno spinta quando volevo fermarmi e mi hanno aiutata quando ero sfinita.

Ecco dunque che mi si apre il cancello di Daddy’s Home in un giorno piovoso di agosto del 2011, dopo un interminabile viaggio durante il quale non mi sono mai posta domande su ciò che avrei fatto, bensì su chi me lo facesse fare. All’aeroporto di Hyderabad in partenza per la destinazione finale di Vijayawada eravamo le uniche non indiane in attesa di salire a bordo di un piccolo aereo. Ci guardavano tutti con curiosità e noi guardavamo tutti con fare molto perplesso. Diciamo pure la verità, eravamo proprio spocchiosette. Angelica aveva 15 anni e Carolina 17. Erano già state messe alla prova con viaggi non propriamente facili fin da piccine, ma la loro reazione in quella sala d’attesa è stata esilarante. Tanto che ancora oggi quando la descriviamo ridiamo di gusto. “Mamma dove ci stai portando?” è stata la domanda più ovvia che potessero farmi e la mia risposta è stata altrettanto scontata : “Non preoccupatevi c’è il papà che ci aspetta”. Senza dirla a voce alta e solo pensandola intensamente scorreva nei miei occhi la frase : ” quel folle incosciente di vostro padre quando arrivo mi sente!”.

Padova Home è accogliente ed è piena di altri volontari. Sono tutti estremamente gentili ma molto riservati. Quasi ci sentiamo intruse, in realtà lo siamo. Purtroppo è così, o lo è stato per noi. I volontari che d’abitudine si recano a Daddy’s Home formano una vera squadra quando si riuniscono per pranzare e cenare. Poi si dissolvono nel nulla. Io e le mie ragazze cerchiamo consigli su cosa fare di buono e soprattutto di utile. D’altronde è il primo giorno e il viaggio ci ha stravolte. Vorremmo subito darci da fare perché i giorni sono pochi.

Inutile dire che l’iniziativa e lo spirito pratico che mi contraddistinguono, soprattutto in situazioni del genere, mi aiutano a capire che, o mi invento subito qualcosa o sono venuta per niente. Ugo come ho già detto fa il dentista a Daddy’s Home e si chiude in ambulatorio alle otto del mattino e ne esce alle otto di sera dopo una pausa pranzo brevissima. Di fare le assistenti di poltrona non ci passa nemmeno per la testa, posto peraltro ambitissimo e per questo superaffollato, quindi ci tiriamo su le maniche e partiamo in quarta. Puliamo e riordiniamo tutte le camere e gli armadietti delle case dei bambini e delle bambine, compresi quelle dei ragazzi e delle ragazze. Respiriamo tutta la polvere possibile, sudiamo tutti i liquidi esistenti dentro di noi e lavoriamo come pazze. Ci sono dieci case da passare e il lavoro è davvero tanto. Ma è  una grande soddisfazione uscire da ogni stanza e vedere tutto in ordine e sistemato. Raccogliamo gli indumenti più rovinati che destiniamo allo slum. In India non si butta nulla perché c’è sempre qualcuno che è più povero del peggiore dei poveri.

Certo che sarebbe  bello ricevere qualche dritta da chi a Daddy’s Home ci va da più tempo. Giusto per non sentirsi inutili e persi. La demotivazione è pericolosa, crea frustrazione e allontanamento. Io dopo questa prima esperienza mi sono ripromessa di farmi aiutare da chiunque voglia lavorare con me, l’importante è che non abbia paura di sporcarsi le mani. Mi disturba essere scambiata per quella che sa, e non mi va di fare la padrona di casa, perché non lo sono. Ma la cosa importante, affinché un gruppo di volontari centri il proprio obiettivo è la collaborazione e la reciproca sopportazione, rispettandosi a vicenda e capendo limiti e debolezze di ognuno. Sembra scontato e forse retorico ma la prima azione di volontariato la fai proprio verso i volontari.

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Le mie ragazze ormai sanno come muoversi e so che vogliono tornare per conto loro. E’ motivo di grande orgoglio per me. Mi hanno vista piangere, mi hanno sentita imprecare, hanno capito quanto importante sia per me trascorrere ore con i neonati e come mi riesca difficile stare con le ragazzine più grandi. Hanno imparato a tirarsi su le maniche e a sudare, a fermarsi un momento prima di crollare e a ripartire anche quando le batterie sono esaurite. Hanno soprattutto capito quanto importante sia offrire la loro esperienza a chiunque arrivi per essere utile.

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